Sfollati in Iraq

Gli sfollati nel nord dell’Iraq sono ancora centinaia di migliaia. In molti hanno perso la casa e il lavoro, i risparmi di una vita sono finiti, qualcuno per tirare avanti si è indebitato. Bambini e ragazzi hanno sospeso gli studi a lungo, e probabilmente il vuoto educativo non sarà mai colmato. Comunità diverse provenienti dalle stesse città si sono divise, e la lontananza non ha giovato. In questo contesto, malgrado un’esistenza precaria lontana da casa, molti uomini e donne hanno alzato la testa trovando un lavoro, riprendendo gli studi o costruendosi una famiglia.

È il caso di Muhammad, siriano, musulmano sciita di 24 anni, fuggito nel 2014 poco prima che la sua Raqqa fosse conquistata dai jihadisti del Califfato. Dopo anni si trova ancora a Erbil, dove la comunità di sfollati siriani è molto numerosa. Muhammad e cinque amici sono arrivati a Erbil in cerca di fortuna. Vivono al pari di centinaia di connazionali in alloggi precari, ricavati nel ventre di palazzi in cemento costruiti a metà, disseminati un po’ ovunque in periferia. Escono di buonora cercando un posto all’ombra, lungo le strade della città in attesa di un ingaggio. Indossano abiti lisi, sempre gli stessi, qualcuno stringe in mano un cartello in arabo in cui offre le proprie maestranze. Sono operai a giornata. Per loro il diritto a un contratto e alla rappresentanza sindacale è un lusso inarrivabile. Lavorano se e quando capita. Accettano ogni impiego, qualsiasi orario e vista la competizione si accontentano di un salario simbolico, quanto basta a tirare avanti.

Quello di Muhammad è un esempio, ma esistono molti casi in cui resilienza e volontà di farcela hanno risollevato le sorti degli sfollati, dimostrando che in futuro l’Iraq può tornare alla normalità.