Srebrenica non volta pagina
Malgrado la protezione garantita da 400 caschi blu dell’Onu, l’enclave musulmana di Srebrenica fu attaccata dai paramilitari serbo-bosniaci guidati da Rakto Mladic, che attuarono il sistematico massacro dei maschi adulti (adolescenti inclusi). A questo si aggiunsero torture, stupri e violenze efferate. In pochi giorni furono uccise 8.372 persone inermi, commettendo quello che due tribunali hanno definito “genocidio”. Ragazzi e uomini furono freddati con una pallottola alla nuca o un colpo di badile che spaccò loro il cranio. I corpi vennero sepolti all’interno di fosse comuni, spesso scavate dalle vittime prima dell’esecuzione.
Gli accordi di Dayton del novembre 1995 posero fine agli scontri e congelarono la situazione. Nella neonata Bosnia ed Erzegovina però è rimasta la tensione tra serbo-bosniaci e bosgnacchi (bosniaci musulmani), in particolare nei centri più sensibili come Srebrenica, dove nel 2016 è stato eletto il primo sindaco filo serbo, il 34enne Mladen Grujičić. Nomina che ha innescato un’accesa polemica per presunte irregolarità, a partire dal sindaco uscente Camil Durakovic, musulmano candidato locale del Sda, storico partito nazionalista bosgnacco guidato da Bakir Izetbegovic. Gli hanno fatto eco i suoi sostenitori, come Bekir Halilovic “Srebrenica avrà 4 o 5 mila cittadini residenti, ma ci sono più di 10 mila persone nelle liste elettorali…”