Iconoclastia

Tra il 2017 e il 2018 in Iraq ho lavorato a lungo sul metodi di espansione del sedicente Stato Islamico, cercando di capire le strategie adottate dai jihadisti di Abu Bakr al-Baghdadi per sostituire il loro metodo all’identità preesistente. L’iconoclastia, intesa come eliminazione delle tracce della cultura da sostituire, ha caratterizzato parte dell’azione di daesh. Ma la condotta dei miliziani del califfato non è stata un caso unico, nemmeno il più eclatante.

La furia iconoclastica del nostro tempo è programmaticamente barbarica ma è anche profondamente contraddittoria. Perché? La distruzione dei Buddha di Bamiyan per opera dei Talebani è avvenuta l’11 marzo 2001, esattamente sei mesi prima dell’abbattimento delle Torri Gemelle: 11 settembre 2001. Quasi se il secondo disastro, con le sue vittime umane e con la sua spettacolarità fosse già in gestazione nel primo.

Oggi giorno si tende ad associare l’iconoclastia a un solo marchio di fabbrica, quello dell’Islam. E gli stessi autori di queste devastazioni fanno di tutto per accreditare la matrice teologica e religiosa della loro furia demolitrice, presentata come un ossequio ai precetti del Corano. Precetti che non esistono, anche se nei video propagandistici sulla distruzione di Bamiyan o di Mosul in Iraq fu inserito un passo del Corano sulla distruzione degli idoli da parte di Abramo.

C’è un solo antidoto a questo veleno, ed è la ragione. Bisogna riconoscere e denunciare la natura strettamente politica e non religiosa dell’iconoclastia.

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