Dentro l’esodo, migranti sulla via europea

Il lavoro sulle migrazioni e sulle persone in movimento è iniziato nel 2008, in Odisha (India), coprendo i pogrom contro i cristiani del Kandhamal. Poi è giunta la seconda generazione di Bhopal; l’abbandono delle zone rurali da parte dei contadini indiani a favore degli slum delle grandi città, a partire da Mumbai; ancora il Kashmir, con le sue rivolte intestine; il Khalistan e la diaspora dei sikh nel mondo; il Corridoio Rosso dei Maoisti, in lotta con le corporation indiane dal West Bengal al Karnataka. Poi sono arrivati il Pakistan, l’Iran, la Turchia, la Grecia e i Balcani, luoghi in cui ho incontrato l’esodo europeo vivendolo da vicino, da “dentro” appunto, arrivando quindi all’Iraq e ai suoi conflitti interni, uno tra tutti la Battaglia per Mosul.

Dentro l’esodo è un progetto di lungo corso, passato per infinite ore di viaggio e di cammino, dall’Asia all’Europa, dal Medio Oriente all’Africa. Sempre a contatto con i diretti interessati, quei “migranti” che abbiamo imparato a conoscere dopo la crisi siriana, osservando costernati immagini di lunghe colonne di persone nel fango dei Balcani. Dentro l’esodo raccoglie tutte queste esperienze, innumerevoli testimonianze, approdate in parte in un libro.

Di confine in confine

Il sole si ritira lasciando la scena al freddo. Chi può si infila nelle tende abbandonate sulla strada o nel fango. Non sono riscaldate ma almeno proteggono dalla pioggia in arrivo dal cielo, anche se nulla possono quando l’acqua sale da sotto. Quelli rimasti senza una casa di tela, cercano un angolo protetto dove bruciare della plastica. Si intiepidiscono mani e piedi prima di stringere le spalle in una coperta da campo, sdraiati al suolo tra rifiuti e pozzanghere. I più giovani scelgono di dormire in ginocchio, gli uni sugli altri nel mezzo delle transenne, pur di preservare un posto in fila per l’indomani. La città è una bolgia! Qualcuno riempie il vuoto del portafoglio con il digiuno. A volte il furto è l’unica soluzione per tirare avanti. Manca tutto, quindi si ruba di tutto. Lo si fa per il freddo, per la fame, per la disperazione. C’è chi si lascia andare vinto dalla stanchezza, rimanendo però sospeso a mezz’aria, sorretto dalla volontà del vicino, mai come ora fratello. Lo sforzo collettivo trasforma la folla in una creatura pensante, resiliente, animata dall’istinto di sopravvivenza. ’Europa dista appena un passo.

È il 2011 quando Emanuele Confortin conosce per la prima volta l’esodo, nelle pianure del Pakistan meridionale sfiancate dalle alluvioni. Poi ancora più a nord, sulla via per l’Afghanistan dove infuria la guerra ai talebani, causa di una continua emorragia di esseri umani, costretti a fuggire dalle proprie case. Chiamateli come volete. Profughi, rifugiati o migranti. Alle loro spalle c’è la guerra, e come un
tizzone ardente brucia senza sosta. Partono in molti, centinaia di migliaia, attraverso i deserti, le frontiere e il mare, quella tomba che profuma di salsedine. La loro sopravvivenza, l’essersi salvati ha avuto un costo, saldato con la vita dei figli, dei fratelli e delle sorelle, dei padri e delle madri, degli amici inghiottiti dal luogo un tempo chiamato Patria. La guerra non può che avere un’anima democratica per colpire con tanta uguaglianza. Non distingue i bambini dai combattenti, i clown dai cecchini, gli ospedali dalle postazioni militari.

Solo l’esperienza diretta riesce a spiegare l’esodo.