La seconda generazione di Bhopal

Ci troviamo a Bhopal, importante città industriale, nonché capitale dello stato indiano del Madhya Pradesh. In questo luogo, la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 si consumò il più grave disastro chimico della storia, provocato da una perdita di 40 tonnellate di isocianato di Metile (Mic), sostanza altamente tossica usata per la produzione del Sevin, pesticida agricolo, nello stabilimento della Union Carbide. Quella notte, a proiettarsi sul cielo della città fu un potente getto di gas, uscito da un camino dell’impianto lasciato in una condizione di incuria, perché non più produttivo. Spinta dal vento, la nube tossica si diresse verso i quartieri circostanti cogliendo gli abitanti nel sonno, a cominciare dalle abitazioni degli operai, ammassate oltre il cancello di ingresso. “Il gas era talmente potente da uccidere sul posto 8000 persone – spiega Sathyu, uno dei volontari dell’associazione per la tutela delle vittime, Sambhavna Trust – poi, avanzando, la nube mutò la composizione e divenne meno letale, così altre 20, forse 30.000 persone morirono nei giorni, settimane e mesi successivi (secondo i dati ufficiali quella notte morirono 1754 persone). Oltre a mezzo milione di intossicati”.

Gli effetti del disastro si sono protratti fino a oggi e interessano i figli dei sopravvissuti. Tra i discendenti delle “vittime” del disastro il tasso di malattie congenite e malformazioni è altamente superiore alla media indiana, così come lo sono i casi di tumore. Difficile attribuire all’incidente dell’84 la responsabilità, anche se da queste parti nessuno ha dubbi, tanto da identificare queste nuove vittime come “Seconda generazione di Bhopal”

Copyright Emanuele Confortin
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